IMPRESSIONI LETTERARIE 2015 3°
Impressioni su: LA GUERRA DEI POVERI di Nuto Revelli
Povero Nuto, il Fascismo non è scomparso, i responsabili del disastro non hanno pagato, ma sono tornati al vertice, a fare i gerarchi, i colonnelli, i corruttori, i ladri e gli imbonitori, lasciando in eredità la poltrona ai loro figli..
Dopo aver fatto pulizia, in casa torna a posarsi la polvere e ad accumularsi l'unto.
Chissà se prima di morire hai scoperto quanto sia stata inutile la tua guerra, che uccidere gli uomini non uccide le idee anzi, pare che il sangue faccia da ottimo concime perché rinascano più rigogliose e perniciose di prima.
Impressioni su: OGNUNO POTREBBE di Michele Serra
Mi pare di udire ancora la voce di mio padre ordinare:«Su la testa, pancia in dentro, petto in fuori, guarda avanti!» a me che, col mento incollato al petto, andavo a scuola guardando sempre e solo dove mettere i piedi. Non perché temessi di calpestare sterco di cani, di asini e cavalli che allora asfaltava il selciato delle strade, ma perché ero timido, di una timidezza patologica.
Erano i tempi dei figli della lupa, ma papà non mi ammoniva per tema che quel mio modo di procedere anomalo potesse far sorgere il sospetto che in famiglia si allevassero embrioni di disfattismo sovversivo, bensì si preoccupava che non tornassi a casa ogni volta con un nuovo bernoccolo sulla fronte, dal momento che il primo, rimediato contro uno spigolo all'incrocio con via Roma, mi aveva provocato una quasi commozione cerebrale. Per consolarmi allora mi mise sul piedestallo dell'eroe, perché un bernoccolo rimediato in via Roma aveva un significato più evocativo e nobile di quello che non abbia oggi. Roma era la capitale dell'Impero. Ma un bernoccolo, per quanto eroico si voglia, era pur sempre un bernoccolo ed era ciò che gl'importava, tanto più che un mio portamento più fiero risolveva due problemi del tempo: la commozione cerebrale e i possibili sospetti di disfattismo.
Quell'episodio mi aiuta a dimostrare che la "sindrome dello sguardo basso" teorizzata da Michele Serra, non è poi una novità. Di moderno ha solo il fatto d'essere diventata epidemica per colpa del bacillo ifonico o egofonico come lo chiamerebbe Serra.
La colpa non è mia, non sono io l'untore come qualche maligno potrebbe insinuare.
Il guaio è che la sindrome dello sguardo basso oggi colpisce tutti, dai più grandi ai più piccini e più nessuno s'accorge che oltre al sé esiste anche l'altro.
Siamo monadi separate anni luce l'una dall'altra che fluttuano inerti nel vuoto universo del presente: esseri inutili alla deriva che s'illudono di appartenere alla comunità in secondo piano sparandosi un selfie (pugnetta secondo Serra).
Questo mi suggerisce "OGNUNO POTREBBE" di Michele Serra: l'io affogato nel vuoto angusto della timidezza uguale all'io affogato nell'espansa, ma astratta e desertificata realtà virtuale. Nihil novi sub sole.
Impressioni su:I SETTE PECCATI DI HOLLYWOOD di Oriana Fallaci
La Fallaci, allegra e scanzonata, in questo suo primo libro coglie ed evidenzia magistralmente il lato buffo e comico della vita dei divi hollywoodiani, senza tuttavia alterare la loro identità oggettiva di uomini, anche là dove il loro modo di presentarsi appare più che altro drammatico e meschino.
Impressioni su: IL TEMPO E LA VITA di Eugenio Borgna.
Leggendo mi sono chiesto: «Ma cos'è questo libro? Un racconto? Un trattato? Un saggio? Un'antologia? Un viaggio introspettivo?»
Alla fine mi è parso tutto questo e niente di tutto questo, anche se l'impressione del viaggio ha finito per essere dominante. Una specie di <Voyage autour de ma chambre> in cui l'io materializza e sostituisce la stanza, e i personaggi non sono gli oggetti ma le emozioni, i sentimenti, i"mostri" della follia che fanno da registi alla soggettiva variabilità del tempo della coscienza.
Percependo forse inconsciamente quanto il fenomeno non necessiti di una spiegazione perché parte integrante della psicodinamica umana, ma non rassegnandosi ad accettarla come semplice constatazione, parte in cerca di pezze giustificative esplorando il mondo dei filosofi, dei letterati, dei mistici e dei malati citando pensieri, brani, poesie e quant'altro gli riesca di reperire nel tentativo di dare una risposta scientifica al suo interrogativo. Ma di quale spiegazione ha mai bisogno una cosa che è di per sé e necessita solo d'essere riconosciuta solo come esistente, cioè semplicemente constatata?
Borgna non sa togliersi il camice dello psichiatra, né scendere dalla cattedra di docente neppure quando veste i panni del narratore e cerca disperatamente in se stesso la spiegazione alla fenomenologia dell'oggetto della sua indagine: la discrepanza tra il rigido tempo dell'orologio e il tempo variabile dell'io nella salute e nella malattia.
Cosa rimane alla fine di questo viaggio? Una forte risonanza emotiva, la sua; una commossa e commovente partecipazione alla sofferenza dell'altro e niente di più che la constatazione di cui sopra attraverso il manifestarsi nell'autore stesso di tutta la labilità emotiva che caratterizza l'anziano in genere.
Impressioni su: GLI ANTIPATICI di Oriana Fallaci
Che la Fallaci sapesse descrivere tutto e scrivere di tutto è ormai assodato, ma rileggendo "Gli antipatici" non si apprezza solo la giornalista, perché non si può non rimanere stupefatti di fronte all'abilità con cui sa rivoltare le sue vittime come calzini e mettere a nudo tutto quello che vorrebbero nascondere "all'amato pubblico". Un lavoro più da psicanalista che da giornalista che dovrebbe non piacere tanto agli intervistati quanto ai loro fan, perché distrugge il giocattolo e ne affloscia il mito, visto che agli uni piace esibire e agli altri adorare la fluorescenza dell'immagine che la Fallaci, oserei dire, sadicamente sembra intenzionata a spegnere. Però, pur odiandola, tutti finiscono per accettare le sue micidiali interviste. Perché? Perché il profumo del gossip è acuto e penetrante per le narici dei lettori, perché stimola la curiosità del pubblico, dilata la notorietà dei divi e aumenta la tiratura dei giornali e dei libri. «Parlino bene, parlino male, purché parlino di me» così tutti vivono felici e contenti.
Impressioni su: PENSIERO AZIONE DESTINO di Marco Ferrini
Dopo aver letto questo saggio decisamente pregnante mi son chiesto se il fascino del pensiero indiano espresso nell'induismo e nel buddismo derivi dalla sua scarsa trascendenza piuttosto che dall'esotismo del suo linguaggio; dal suo essere più filosofia che teologia. più ragionamento che rivelazione o semplicemente ritualità esasperata con funzione ansiolitica e catartica. Penso che prima o poi affronterò il problema con maggiore impegno visto che m'intriga lasciandomi alquanto perplesso. A volte il pensiero del Ferrini mi sembra una mescolanza indistinta di induismo e di cristianesimo usati come reciproca stampella, come se le due religioni si fossero contaminate a vicenda prescindendo dal contesto storico e geografico in cui si sono formate. Pare inoltre dimenticare che l'induismo, strutturato come noi oggi lo conosciamo, viene datato dagli stessi storici indù a partire dal II secolo dopo Cristo (vedi "l'Induismo" di Nirad C. Chaudhuri) anche se i primi quattro libri sacri degli Arii: i Veda, ai quali l'Induismo fa sempre riferimento, vengano fatti risalire al 2.200 a. C.
Secondo l'Induismo i Veda non sarebbero stati scritti da esseri umani quindi sarebbero di origine rivelata.
Secondo il Ferrini l'Induismo non può essere capito senza la guida di un maestro: il Guru, ma è una contraddizione perché non indica chi sia stato il maestro del primo maestro. La rivelazione sarebbe quindi solo sottintesa, non apertamente dichiarata come nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e nell'Islamismo, perciò non sono chiare le modalità di trasmissione.
Nella teoria del pensare sempre positivo ( cioè che positivo chiama positivo e negativo chiama negativo) dal momento che quel che ci accade raramente dipende dalla sola nostra volontà, l'ignorare di proposito gli aspetti negativi di un avvenimento non è forse un'accettazione passiva di quel che ci accade, un mettere "la testa sotto la sabbia"? Un agire sconsideratamente?
Il legare poi all'immaginazione quel che si vuole essere diverso da quel che si è, giocando sul ruolo della volontà non tiene minimamente conto degli scherzi giocati dalle psicosi. Uno che s'immagina d'essere Dio non diventa Dio per forza di volontà, né per virtù dell'immaginazione.
L'affermazione a pg. 76: "Ho affermato che siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, nel senso che partecipiamo della stessa natura spirituale. Dio crea e noi possiamo fare altrettanto: Lui in misura universale e noi in misura più modesta, ma con un processo del tutto simile. Il pensiero creativo è lo stesso che genera i mondi. Così dicono i rishi vedici, gli illuminati. Siamo noi che creiamo ogni nostra situazione di vita ecc." a me pare un delirio mascherato che gioca sul sofisma. È evidente che trova una pezza d'appoggio nell'applicazione dei ritrovati della scienza, ma non chiarisce se nel "siamo noi che creiamo ogni nostra situazione di vita" si riferisca alla volontà del collettivo che condiziona (cosa relativamente possibile) o del singolo indipendentemente da tutto (cosa assurda).
Che il tema dell'aldilà venga risolto dall'Induismo in termini di metempsicosi per giungere al nirvana non mi dice nulla di nuovo. L'uomo ha difficoltà a staccarsi dalla vita e stempera le sue ansie affidandosi alla fantasia o, se si preferisce, a ipotesi tutte da dimostrare.
Da pag. 82 in poi tutto mi pare un delirio manifesto, a meno che non si tratti della dottrina vedico-induista che l'autore sintetizza facendola propria senza commento e che mi riservo d'indagare più accuratamente in seguito.