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Il mestiere di vivere non è semplice, spesso è un oneroso peso da sopportare, comunque la vita va intensamente vissuta, questo sembra essere, nella profondità e nell'amarezza dei pensieri di Ralco, l'essenza dei suoi scritti.

A Varese Ralco insegna, si sposa, ha una figlia, è un attivista cattolico con idee troppo progressiste e da Varese, solo, con una bimba di soli venti mesi, si trasferisce in Svizzera e affronta una uova esistenza: si specializza infermiere psichiatrico, si risposa e con la nuova compagna, prima che il morbo di Richardson la paralizzi progressivamente, condivide la passione per i viaggi. Il tema del viaggio reale e nella psiche e il ruolo della psichiatria sono fonte di ardue e profonde riflessioni per Ralco.

Esiste un Dio creatore, ma come si configura, chi é? E l'uomo è davvero potenzialmente libero? Chi sono i veri malati di mente? Cosa s'intende per "normalità"? Le odierne linee terapeutiche sono davvero utili per curare le malattie mentali? I numerosi rientri in casa di cura che motivazioni hanno?

Queste e altre domande esistenziali sono alla base della riflessione del pensiero dell'Autore, che espone le proprie tesi in uno stile lucido ed elegante e di forte impatto emotivo.

JUVENILIA di Carlo Antonio Bertòlo è diviso in due parti ben distinte con appendice finale che include alcuni epigrammi. Nella prima … la poesia di Carlo  Antonio Bertòlo è quindi intrisa di una miscela lirica che metabolizza il passato, illumina le visioni che deflagrano dal profondo dell'animo ed innalza la sua esperienza ad emblematica presa d'atto dell'autentica concezione dell'esistere, accompagnando la sua parola con la profonda visione spirituale. Nella seconda (…) sono raccolte alcune satire … In questa sezione ritroviamo la volontà di Carlo Antonio Bertòlo di esprimere una critica sociale nei confronti della realtà odierna, passando dal divertissement alla satira più dura ed aspra, mantenendo sempre un velo d'ironia anche nelle considerazioni cosparse da vetriolo. Nella parte finale , ritroviamo alcuni epigrammi che chiudono il testo e rappresentano, con fulminee illuminazioni e velenose frecciate, ironiche analisi sulla condizione umana, sulle visioni della vita quotidiana e della società in generale, con rapidi sguardi satirici alla giustizia, alla politica, all'informazione e al lento dissolvimento della morale, cavalcando l'onda dell'attuale critica agli italici vizi e pregiudizi.

                                                                               

 (dalla prefazione di Massimo Barile)                           - ottobre 2011 -

 Il fiume inesorabile del tempo accompagna l'Uomo, il mito di Crono che divora i suoi figli, come a ristabilire l'ordine fondamentale delle cose, l'immodificabile ciclo della vita che nessuno può fermare: ecco allora che "il tempo compone la vita" e, Carlo Antonio Bertòlo, sottolinea, chiaramente come le tessere del mosaico esistenziale vengano scomposte e, poi, ricomposte, in un continuo alternarsi di momenti vitali, tentando di combattere il "grigiore della vita" e di preservare i "ricordi" che assumono un ruolo fondamentale (… ) attraverso le poesie di Carlo Antonio Bertòlo, ci si può muovere tra le "galassie", sognare un passato nelle "grotte delle fate" che conduca ad altra dimensione, inoltrarsi in un'atmosfera di sospensione, come a "cercare di svelare il mistero" e lambire i confini dell'Universo pur restando nella propria mente. La parola di Carlo Antonio Bertòlo non è mai banale, ma tende ad una ricercatezza espressiva con numerosi riferimenti classici e mitologici, come a scandagliare nel Tempo concesso all'Uomo tutto ciò che è servito per attenuare il "senso di smarrimento" davanti all'inconoscibile.

                                                                                 

(dalla prefazione di Massimo Barile)                                       - maggio 2012 -

Carlo Antonio Bertòlo ha piena consapevolezza che il tempo scorre inesorabile e non si perde in vane nostalgie ( … ) piuttosto, rivolge, liricamente, la sua tensione a ciò che riserverà il futuro ( … ) con la volontà di gridare la sua "grande passione/per questa vita che ancora" lo seduce e lo ammalia con le sue meraviglie. ( … ) È indubbia la sua volontà di preservare la "meraviglia della poesia", come a poter scorgere in essa l'infinito, il sogno che pervade il cuore, la fonte luminosa che permette di conservare lo "stupore del fanciullo".

"Un cenno di apprezzamento anche per le belle foto di Carmen Bertòlo Caletti, che rappresentano la perfetta comunione tra poesia e immagine in una simbiosi davvero meritevole".

                                                                               

 (dalla prefazione di Massimo Barile)                            - maggio 2013 -

....È questa dialettica irrisolta tra critica del presente e gioia/stupore di vivere che traspare,  con cromatismi unici, nelle poesie rabbiosamente giovanili della Notarnicola e in quelle ireniche di Grimaldi, nella polisemia d'amore di Bertolo e negli interrogativi della Binetti, nella tensione dell'anima della Nuzzi e nella dolcezza dissacrante di Tanzi, nella notte pregna di ricordi di Andreini e nei grumi dell'anima della Comandé.

 

(dalla prefazione di Alessandro Lattarulo)               - novembre 2013 -

...Urlare i crimini altrui (È lotta) non costituisce quindi un esercizio retorico volto a tacitare la propria  coscienza, ma diviene un messaggio nella bottiglia lanciato dall' essere umano in quanto tale, rigettando le differenze di genere, di lingua, benché, come rileva Bertolo, il possesso delle chiavi per aprire se stessi sia una tremenda illusione. "Io credo di saper dire, / tu di saper capire. / Un fiume ci separa / e a unire le due sponde / è il ponte menzognero / dell'interpretazione / che spesso le confonde" (Le chiavi dell' Io). Sublime però si staglia, sullo sfondo di questo tramestio interiore, che rispecchia il subbuglio sociale, l'amore come inatteso realizzarsi di ciò che sembrava, fino a un istante prima, impossibile.

 

(dalla prefazione di Alessandro Lattarulo)                     - marzo 2014 -

Nove racconti: nove viaggi nel tempo storico e biografico, che fendono diacronicamente gli anni della gioventù e quelli della maturità, intervallati da vacanze, interrogazioni dell'anima, dubbi e certezze, pianto e riso, canzoni e poesie. Nove quadri pennellati tanto in piazza quanto guardando senza morbosità dal buco della serratura di porte ipocritamente serrate.

Una narrazione su piani multipli, che restituisce voce a un'Italia dimenticata dai mezzi di comunicazione, mettendone in scena, in modo vivido, le contraddizioni, le tradizioni, il caparbio ancoramento a una dimensione agricola e comunitaria travolta dal passaggio all'industrializzazione prima e all'era tecnologico-digitale poi.

Una testimonianza funzionale non soltanto all'autore per dotare retrospettivamente di senso la propria vita, ma per aiutare il lettore a condividere agrodolci ricordi bellici, esperienze professionali all'estero e stupore fanciullesco nella scoperta delle tante Italie di cui si compone il Bel Paese.

                                                                               

(dalla quarta di copertina)                                                 - aprile 2014 -

Carlo Antonio Bertòlo è poeta che rappresenta, fedelmente e simbolicamente, il desiderio di comunicare la propria visione attingendo al meraviglioso giacimento lirico che possiede il suo animus di scrittore. 
Si avverte la costante propensione a scrutare la realtà e riportarla, con parole pregne di significati e legate intimamente al suo vissuto, sulle pagine della silloge “Cioccolato e peperoncino”, sempre alimentando l’attento sguardo lirico che è proprio ed innato nel poeta.
La poesia diventa “cassa di risonanza emotiva per lo spirito dell’Uomo”: il canto lirico invade ogni“semplice cosa” e le occasioni della vita, di montaliana memoria, tramutano in poesia le molteplici visioni dell’animo e le pulsioni profonde; le passioni del cuore e le contraddizioni dell’umano vivere; le suggestioni del mondo naturale così come le emozioni quotidiane

 

(dalla prefazione di Massimo Barile)                         -novembre  2015

 

 

 

Poesia non solo come esternazione narcisistica e ammirazione compiaciuta di sentimenti ed emozioni della propria introspezione, ma come atteggiamento etico-estetico rivolto all'universale endogeno ed esogeno.

Non esclusiva autoesaltazione o commiserazione, ma abito che veste lo stupore letterario per il tutto. Versi come strumenti musicali, parole come note d'inchiostro risonanti nei labirinti della mente; componimenti sinfonici dell'anima verganti le stagioni, pagine fruscianti di un libro fra  dita che accarezzano la vita.

 

Tutta di versi è fatta la storia,

ti piacerebbe impararla a memoria?

Se poi vi aggiungi quel tocco d'artista

che te la rende gradita alla vista,

la favoletta è davvero completa

e nella mente si annida discreta.

Scritta pel bimbo, pel più grandicello,

per divertire anche quel vecchierello

faceto e arzillo che gli anni rimuove

allegramente contandone nove.

Se lo contesti risponde severo:

« Scusa, che mai ! Conta forse lo zero?»

 

Lettore, sei forse l'intruso che viene a scoperchiarmi l'anima?

Se è così rimango.

Il chirurgo che sadicamente mi scortica le ferite?

Ti guido la mano.

Il Leviatano assassino?

Ne rido.

Se ti muove la smania d'esplorare, accomodati, vedrò di farmi in là; potrai tuffarti, nuotare o affogare, volare radente o navigare, ma se ti fermi sullo scoglio a contemplare, specchiati. Sì, specchiati !

Me ne andrò in punta di piedi e ti lascerò solo con te stesso.

Ciò che vedrai sarà la confusa, tremula verità riflessa e tu l'immagine, la controfigura.

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... È un narrare dal di dentro usando metafore e allusioni più o meno ironiche, brandendo la penna per "dipingere" pensieri e sentimenti con l'ingenuità con cui si presentano, lasciando al pennello di Massimo l'incombenza di "descrivere" illustrando.

                                                                                                       (l'autore)

<<Strumento in apparenza desueto, quasi respingente, finanche catalizzatore di sorrisini sarcastici, la lettera si trasforma, attraverso la penna di Bertòlo, in un affresco della propria età, senza chiassosi giovanilismi di maniera ma anche distante dall'evocazione nostalgica dei più incalliti  laudatores temporis acti ... 

Il tema che innerva le pagine di questo libro ... è brandire il calamo ... per dipingere con tonalità cangianti pensieri e sentimenti. Operazione anch'essa in apparenza scontata, ma invero tanto profonda da diventare una sorta di unicum in un'epoca di  passioni tristi, come sostiene Galimberti rileggendo Spinoza...>>

                                               (dalla prefazione di Alessandro Lattarulo)

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... In equilibrio funambolico tra quadri di vita quotidiana e dovere della memoria, Bertòlo rimarca con la sua peculiare cifra stilistica che solamente tale arrischiarsi all'inusuale consente di vivere appieno la vita, fuggevole torno di tempo che la scienza si cruccia di dilatare, nella perenne dialettica che la oppone alla natura. Non sembri pleonastico quest'ultimo riferimento, perché tutta l'opera del Bertòlo si conferma composita e multistratificata. Laddove infatti la crosta goliardica appare a prima vista preponderante e sembra ombreggiare i frutti poetici con un erenismo condito da punture di spillo salaci e argute, grattando sotto la superficie riluce una meditazione che trascende le esperienze professionali dell'autore, per rivelare, senza adagiamenti banali, il più autentico enigma con cui ogni essere umano, oltre all'ineluttabilità della propria finitezza, si macera: chi/che cosa ci sarà "dopo"?

   (Dall'introduzione di Aessandro Lattarulo in risvolto di copertina)

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Ancora una volta, con l'usuale arguzia e lo spregiudicatamente rilassato utilizzo delle parole, delle rime, Bertòlo effettua un bilancio sereno eppur severo dell'esistenza propria e del genere umano. Non si tratta di chiudere "la partita" soppesando "fatti e misfatti (Bilancio), ma di aprire un vero e proprio sguardo indagatore sul rapporto dell'uomo con i propri simili e soprattutto con la Natura.  C'è un senso di fine che non solamente investe l'esistenza del singolo, ma di tutto il genere umano, perché, indiandosi, l'uomo si è eretto a governatore della Terra, gestendone al peggio i delicati equilibri,  conducendo il pianeta verso un precipizio dal quale sembra ormai impossibile ritrarsi. In ciò è chiaramente percepibile il nobile senso di responsabilità e lo scrupolo per il passaggio di testimone verso le nuove generazioni, chiamate a un compito arduo, Amareggia tuttavia l'autore rilevare non solamente lo schiaffo assestato al Creato, il dileggio verso la Natura, ma altresì che la mancanza di ogni cura, così simile alla sguaiata archiviazione dei più preziosi insegnamenti delle generazioni dei più anziani, proceda di pari passo - se non addirittura discenda in parte -dalla frettolosa e maleolente provocazione nei confronti della cultura, che anche simbolicamente si riassume nel rogo del libro. Questo strumento di accumulo stratificato e condensazione del sapere, che dovrebbe costituire il più nobile strumento di distinzione tra l'Uomo e le altre creature,  invece di essere elevato a faro di riferimento per la società, sembra destinato al dimenticatoio se non addirittura (appunto) a nuovi falò, in nome dell'ipocrisia, del cedimento strutturale a un sistema di feticizzazione del capitale, a un rapporto immaturo con la scienza, che oscilla tra la deresponsabilizzazione di ciascuno in nome dei postulati di questa e la sua parcellizzazione specialistica che mortifica, come nel caso della medicina, il tutto per la parte. questo è il problema, al cui Nostro oppone come estremo tentativo di difesa, quanto meno testamentaria, l'elogio del banale,  in cui trova sublimazione l'uomo del quotidiano, sublime e meschino, fragile e forte, che costituisce il vero commiato del Bertòlo. Ma la mestizia dell'epilogo è comunque in tutta l'opera equilibrata giocosamente dalla capacità di inventare, di riferirsi al proprio ambiente in maniera anticonvenzionale, con l'appagamento dello sguardo da nonno che ci aveva consegnato in opere precedenti e che anche in questi versi ritorna a farsi sentire per dare alla luce una silloge che rende, al tirar delle somme, quella di Bertòlo una voce unica e pienamente riconoscibile nel panorama poetico italiano.

   (Prefazione di Aessandro Lattarulo )

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                                                    PREFAZONE

È raro imbattersi in un autore in grado di definirsi così appropriatamente come riesce a Bertòlo. Sì, è veramente un «saltimbanco di parole». Alla dimensione ludica, che da sempre accompagna il suo verseggiare, così attento alle rime, alla musicalità, alla facezia lessicale, si accompagna nondimeno un acuto sguardo sulla storia e sul mondo. La cifra bucolica che innerva la maggior parte dei propri componimenti non è mai specchio narcisistico né fuga dalle contraddizioni del presente. Senza dubbio funge da artiglio per catturare i ricordi dagli anfratti del cuore, spolverandoli e creando simmetrie depurate da nostalgie lacrimose tra la giovinezza e la vecchiaia, ma è in primo luogo la rivendicazione di una essenzialità che l’Uomo ha smarrito, nella dionisiaca infatuazione per la Tecnologia. Se quest’ultima, infatti, esaspera protagonismi vacui, la Natura non è solamente idillio, pace irenica. Nelle sue dinamiche sono rintracciabili amore e morte, deantropologizzate però, scevre dai cascami culturali che se per un verso rendono l’essere umano unico nel panorama terrestre, per altro lo allontanano dall’essenzialità delle cose e, quindi, a conti fatti, persino da sé stesso.                 

Bertòlo non stipula un patto con il lettore, pur rivolgendosi a lui senza remore, non snoda le proprie liriche in apnea, ma tende, semmai, a liberarle dalla forza di gravità per ridicolizzare l’assurdità della guerra o l’ipocrita utilizzo della religione a scopi politici. Detto altrimenti, Bertòlo ci invita, con saggezza, a non prenderci troppo sul serio, ma a navigare tra i giorni che scorrono alla ricerca di un equilibrio che soprattutto la frenesia cittadina ci fa apparire anodino, mentre è la condizione necessaria per mutare le passioni tristi che germogliano lungo i bordi di un’età complessa in genuino entusiasmo.    

 

      ALESSANDRO LATTARULO 

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