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IMPRESSIONI LETTERARIE 2015 2°

Impressioni su: "LA NAZIONE NAPOLETANA"di Gigi di Fiore

Storia romanzata, apologetica, di parte. Retorica patriottica normalmente usata da ogni regime vista però dalla sponda del revisionismo, ma per questo non diversa dalla storia ufficiale nella modalità di descrizione e interpretazione degli avvenimenti. Storia in cui basta sostituire la testa alla statua dell'eroe come facevano i Romani con quella dell'imperatore perché il culto cambi il dio da venerare. Contro l'esaltazione dei vincitori e la conseguente demonizzazione dei vinti, mutando tempi, sensibilità e interessi, il revisionismo consente agli eredi di questi ultimi di far sentire la propria voce con la presunzione di resuscitare una verità negata, senonché anch'essi si comportano con la stessa tracotanza dei vincitori esaltando l'eroismo delle vittime ed evidenziando solo le crudeltà del nemico.

Pare che gli apologeti moderni abbiano dimenticato la lezione di Giulio Cesare che, attraverso l'enfatizzazione delle virtù del nemico implicitamente iperesaltava le proprie di vincitore.

La storiografia tanto dei vincitori come dei vinti pur nella credibilità dell'esposizione è fonte di dubbi e d'inquietanti incertezze e non tutti i lettori sono funamboli. Nello forzo ansiolitico di stabilizzare l'equilibrio del proprio baricentro l'uomo comune è obbligato ad operare una scelta che sarà inevitabilmente viscerale, perché il baricentro dell'uomo è nella pancia non nel cervello.

Secondo la Storia ufficiale chi ha perso è perché stava dalla parte sbagliata, quando sarebbe più onesto dire che stava dalla parte più debole, ma ciò non permetterebbe più allo storiografo di equivocare sulle ragioni e sui torti delle parti, rendendolo sgradito tanto al vincitore che al vinto che preferiscono tenere i propri scheletri ben celati nell'armadio dell'oblio.

Impressioni su: "COME CAVALLI CHE DORMONO IN PIEDI" di Paolo Rumiz

Stupendo!

È il lamento dell'Europeo rimasto senza radici alla ricerca di un'identità mai posseduta, perché negatagli dalla storia.

Sogno ricorrente di una Patria senza confini, sempre proditoriamente interrotto da un lacerante rigurgito di nazionalismi.

Impressioni su: UN ANNO SULL'ALTIPIANO di Emilio Lussu

Cronaca di una guerra vissuta sulla propria pelle, senza retorica e senza prosopopea, descritta in tutta la sua assurda irrazionalità

Anch'io come Mario Rigoni Stern posso dire di non aver letto nulla di più avvincente sulla guerra del '15 - '18, ma non per le sue stesse ragioni e motivazioni.

Sull'altipiano dei sette comuni e precisamente in territorio di Gallio cadde mio nonno Ernesto, milite ignoto di cui non si riconobbero neppure le ossa fra le tante di quel cimitero sconvolto. Leggo perché vorrei sapere a cosa sia servito il sacrificio suo e di tutti i commilitoni caduti come lui, ma è passato un intero secolo e su quel mattatoio ancora oggi, ogni 4 di novembre, la fanfara del circo suona il silenzio, forse perché non ne venga violato il segreto.

Impressioni su: LA GRANDE MENZOGNA di V. Gigante, L. Kocci, S. Tanzarella

Il libro è meno avvincente di quello di Rumiz; di respiro più corto, smaccatamente revisionista e classista nell'esaltare il fante di trincea e nel denigrare gli alti comandi e gli ufficiali superiori in massa descrivendoli indistintamente come tutti cinici e sadici. Non approfondisce abbastanza le responsabilità di Vittorio Emanuele III né quelle dei suoi ministri. Fa solamente intuire gli interessi dell'industria che spingono all'interventismo monopolizzando e addomesticando le fonti d'informazione. Presenta gli intellettuali interventisti come un manipolo d'invasati acritici un po' brutte copie di D'Annunzio e il soldato vero agnello sacrificale portato al macello a sua insaputa. Condivido la critica al trionfalismo postbellico abilmente costruito sui poveri morti che, da macellati, diventano mitici eroi al servizio di un regime.

Ad essere sincero, nel suo insieme, non mi convince né la storiografia ufficiale né quella revisionista e penso che la verità del giusto mezzo non si saprà mai, altrimenti. se questi signori storici d'annata dicessero la verità, tutta la verità, per essere credibili sulla parola anche l'epopea della Resistenza avrebbe qualche rammendo in meno e qualche macchiolina in più.

Impressioni su: 24 MAGGIO 1915 -L'ITALIA È IN GUERRA pubblicato dal Corriere della Sera.

Nel valutare l'opportunità di scatenare o di partecipare ad un conflitto vengono messi sulla bilancia: la probabile durata della guerra, la potenza militare propria e dell'avversario, la solidità del tessuto sociale e delle istituzioni, le risorse economiche, il prestigio che ne deriva, i vantaggi territoriali e strategici, l'impulso allo sviluppo industriale ed economico supportato dalla bramosia di incontrollabile arricchimento delle classi più abbienti, ambizioni egemoniche e velleità nazionalistiche.

Chissà perché nel calcolo preventivo delle perdite e dei profitti di una guerra tutto viene messo sulla bilancia fuorché il fattore umano, che, anche per gli storici, è solo un fattore numerale statistico.

Per tutti l'uomo in guerra da vivo è l'agnello sacrificale: munizione contro il nemico o deterrente psicologico da morto. Forse che la vita umana non è anch'essa monetizzabile?

La morte di un uomo non è forse una perdita di produttività?

Una mutilazione permanente e un'invalidità non sono anch'esse perdite di guadagno e costi sanitari supplementari per una comunità?

Sono fattori che dovrebbero figurare al primo posto sul tavolo delle decisioni di governi, parlamenti e stati maggiori anche quando, per il loro senso morale, la vita in sé non avesse alcun valore etico.

Per rendersi più digeribili due degli autori c'invitano ad un'analisi per assurdo chiedendosi (o fingendo di chiedersi) "E se l'Italia fosse rimasta neutrale?" "E se ci fossimo schierati con il Kaiser?"

Il loro o è solo un goffo tentativo per giustificare agli occhi degli ingenui i responsabili dei grossolani errori commessi (anche se la condanna può sembrare il frutto del senno di poi) perché "il possibile" non è "l'accaduto" e questo stratagemma sa di edulcorante artificiale per sottrarre l'imputato alla condanna, oppure è un rifugiarsi nella fantasia epica da poeti omerici come se la storia fosse riducibile ad una pièce drammatica, suscettibile di allestimenti diversi. L'ipotetico, usato come strumento d'assoluzione o di condanna, non ha senso comunque.

A cent'anni dall'entrata in guerra quando non esiste in vita neppure l'ombra di un suo combattente che senso ha perpetuare certe commemorazioni più oleografiche che vissute?Mantenere vivi i fantasmi di una guerra che nei giovani suscita la stessa risonanza emotiva del "De bello Gallico"?

Forse per tacitare i sensi di colpa dietro la mistificazione? Contrastare il vento revisionista?

Voler salvare dal naufragio i miti ormai estemporanei degli intellettuali di allora tenuti in caldo dal colonialismo dell'epoca,? I vessilli sventolanti alle ultime folate del vento risorgimentale come: gloria, sacrificio, eroismo, amor di Patria, attaccamento alla bandiera, fedeltà alla Nazione a quel tempo incoraggiate dal vertiginoso aumento delle tirature dei quotidiani interventisti e dal fascino catalizzante l'immaginario dell'Italiano semianalfabeta, operato dai periodici illustrati che ne condizionavano il giudizio agendo sull'emotività?O è la solita ambiguità politica del piede in più scarpe perché "Non si sa mai …?"

Soltanto la verità può essere catartica, ma quella nessuno la racconta.

È mantenendo vivi vecchi rancori che si assume un atteggiamento in antitesi con l'europeismo sbandierato.

Insomma, signori delle istituzioni e relativi megafoni mediatici, sappiamo cosa vogliamo?

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