top of page

L'insegnamento del gambero

III

I piedi di Pastrocchio, ormai lavati e stralavati, cominciavano a gonfiarsi per il troppo liquido assorbito, proprio come quelli degli umani con problemi cardiaci. Decise di stenderli ad asciugare all'ultimo sole del tramonto. Le nuvole sopra di lui erano chiara d'uovo montata in una scodella di azzurro.

«Quante belle meringhe si potrebbero fare se fossero di albume ! E poi, così colorate di rosa, sembrano coni gelato di panna e fragola» Pensò.

Viaggiando nel cielo gli raccontavano le avventure degli angeli assumendone le forme e mimandone i dialoghi, perché anche lassù esiste un mondo speculare, forse non concreto come lo intendono i terrestri, che si potrebbe chiamare virtuale, ma esiste, e le nuvole lo raccontano e lo ricordano.

La cornamusa del vento serale suonava le sue pive strusciando tra il fogliame e i rami degli alberi; era la base musicale per gli assolo di passeri, merli, pettirossi e cuculi, con l'esercito degli stridulanti a far da coro.

Il sottobosco brulicava di vita. Le formiche, indaffarate a ripulire la loro dimora dall'immondizia e svuotare le camere mortuarie per portare fuori le salme stoccate durante l'inverno, si snodavano in doppia fila fitta di corpi tra l'imbocco del formicaio e un piccolo cono che pareva di granelli di sabbia. Sembravano una colonna di macchine in fila sull'autostrada durante l'esodo di fine settimana. Andata e ritorno di corpi che correvano, rallentavano, si fermavano, si scontravano, si salutavano e scambiavano informazioni strusciando le antenne, passandosi la voce con impercettibili stridii che anche Pastrocchio udiva, perché non aveva mai perso la misteriosa sensibilità del silenzio silvestre. Ogni tanto qualcuna abbandonava la colonna e, con l'autorizzazione delle soldato testagrossa messe a far da vigilesse, partiva in avanscoperta. Erano le esploratrici in cerca delle nuove fonti di approvvigionamento, di nuovi granai da saccheggiare o di formicai da depredare, o più semplicemente alla ricerca di un nuovo territorio da colonizzare, perché anche le formiche avevano le stesse abitudini degli uomini, compresi i vizi e le virtù.

Ma erano davvero vizi e virtù o non piuttosto manifestazioni di una legge universale primordiale cui tutti gli esseri viventi dovevano obbedire, coscienti o meno che ne fossero?

Pastrocchio era un povero burattino senza istruzione e non era in grado di soddisfare tale curiosità, ma, a venirgli in aiuto, accanto a lui c'era qualcuno la cui stirpe risaliva, pressappoco, al tempo delle prime formiche: il nostro austropotamobius pallipes italicus che gli si era affezionato e non intendeva abbandonarlo solo e inerme fra i pericoli notturni del bosco. Anche lui non era andato a scuola, ma aveva imparato lo stesso a vivere in armonia con se stesso, i suoi simili e tutti gli altri esseri del creato. Come? Ascoltando suo nonno e gli altri vecchi della tribù e mettendo in pratica i loro insegnamenti.

«Eh sì !» gli sussurrò all'orecchio «è una legge universale legata all'istinto, perché abitazione, sedentarietà, nomadismo, approvvigionamento, difesa del territorio, difesa della prole, conquista e tutto quel che richiede la sopravvivenza esisteva da prima che l'uomo comparisse».

A Pastrocchio pareva strano che una sola legge reggesse l'Universo e che il senso di proprietà sia territoriale che dei mezzi di sostentamento facesse parte dell'istinto stesso di conservazione, fonte di sanguinosi scontri per il diritto alla sopravvivenza e quindi inscritto nel D.N.A. di tutti gli esseri viventi non piantati nel terreno, perché i vegetali come lui gli sembravano molto più tolleranti. Se un cespuglio invadeva lo spazio di un albero attingendo alle sue riserve alimentari lui non l'avrebbe mai cacciato dal suo territorio; si sarebbe limitato a spingere più in profondità le proprie radici e più in alto la sua chioma e a condividere con l'intruso terreno e risorse; quando non scendeva a compromesso stringendo un patto di mutuo sostegno stipulando un contratto di simbiosi.

Comunque neppure il mondo vegetale era immune dall'egoismo, doveva riconoscerlo, perché non è che la simbiosi fosse sempre rose e fiori.

Anche fra i vegetali prevaleva la legge del più forte, l'astuzia sull'ingenuità, la frode sull'onestà. La simbiosi non sempre era mutualistica. Spesso diventava antagonistica fino all'estremo: al soffocamento e alla morte della pianta ospitante.

Che differenza c'era fra il comportamento dell'uomo e quello degli altri esseri viventi ? Che senso aveva stigmatizzare il suo agire e, per contro, appellarsi alla natura, auspicare il rispetto delle sue leggi, invitandolo a imitarla, quando l'unica legge era quella che aveva generato il concetto di proprietà ? Chi mai poteva asserire che anche gli uomini non obbedissero pedissequamente a questa legge universale e l'averla impreziosita con codici e codicilli era un ornarla di fronzoli che contavano come il due di picche? Che non abbiano inventato nulla che non fosse già scritto fin dalle origini, consapevoli o meno che ne siano ?

Le formiche, sparpagliandosi per il mondo, diversificandosi in razze e popolazioni con caratteristiche somatiche e peculiari diverse, organizzandosi in comunità come poi fece anche l'essere umano, facevano tutto questo da più di centocinquanta milioni di anni e non è che lo avessero inventato loro, perché l'avevano ereditato dalle vespidi loro antenate.

Pastrocchio chiese al gambero. «Cos'è allora che fa l'uomo così diverso dagli altri esseri viventi se sostanzialmente non fa altro che obbedire anch'egli a questa legge primordiale? »

« La presunzione » gli rispose il gambero «La presunzione e l'ingordigia».

Pastrocchio, supino con le mani dietro la nuca a far da cuscino, ascoltava e rimuginava queste cose mentre guardava la volta celeste oscurarsi piano piano all'imbrunire e il lento comparire delle lampade che illuminavano il cammino ai pellegrini dell'aldilà, mentre i rumori andavano scemando e il bosco sembrava volersi addormentare.

«Perché presunzione ? ... Ti pare presunzione la ricerca della conoscenza ? Se lo charpentier non avesse avuto sgorbie e sega e non avesse imparato ad usarle io non esisterei come burattino e poi non è che mi abbia fatto per ricavarci chissà cosa ! Diciamo che mi ha fatto per diletto, per senso artistico, per dare sfogo alla sua creatività, al suo gusto del bello. Non ci vedo presunzione e men che meno ingordigia».

«Dipende a cosa viene finalizzata, perché la motivazione della conoscenza fine a se stessa per l'uomo mi sembra solo un comodo paravento. Che conta è a cosa venga applicata questa conoscenza, gli scopi cui essa serve, solo allora puoi giudicare il suo valore o il suo disvalore. Il fine al quale l'uomo applica la conoscenza è il paravento del progresso, ma non dimenticare che ha lo stesso prefisso di profitto. Se usi un coltello per sbucciare una mela o per tagliare una gola, se ti serve per mangiare o per uccidere, se uccidi per difenderti o per depredare, la differenza sta qui non nel sapere a cosa può servire un coltello. Guardati intorno, la Terra è ridotta al collasso grazie al disvalore del sapere, all'ambizione del potere, all'ingordigia del possedere, all'uso sbagliato che l'uomo fa di ogni nuova conquista scientifica.* Per quanto riguarda te credo cercasse solo di soddisfare un suo bisogno estetico; un fine tutto sommato innocuo visto che non fu lui ad abbattere il faggio dal quale ti ha tratto. Fine innocuo, ma inutile se collocato al di fuori dei capricci umani».

«Allora a cosa serve e soprattutto a chi serve l'intelligenza ?»

«A tutti» rispose categorico il gambero, e continuò:

« Credo che la definizione più semplice dell'intelligenza sia la capacità generale di interagire con l'ambiente circostante per il raggiungimento del proprio fine esistenziale; estensibile quindi a tutto l'Ente in cui ogni cosa espleta una propria funzione nella dinamica del tutto".

Penso che questa facoltà coscientizzata dall'uomo, non sia specifica dell'uomo, ma più genericamente identificabile con l'energia:

il germoglio, disobbedendo alla fisica, vince la forza di gravità, il peso e la compattezza del terreno, aggira l'ostacolo della roccia e cerca la fessura per uscire alla luce del sole per poter attivare il suo laboratorio chimico di fotosintesi per la propria crescita, per contro le sue radici si spingono in direzione opposta e s'incuneano nel terreno ma non a caso. Si dirigono sicure verso gli strati in cui trovano acqua, sali organici e inorganici che servono per lo stesso scopo. I rampicanti che necessitano di un tutore che li regga onde poter raggiungere la luce, si dirigono verso il supporto che serve al loro scopo in qualsiasi parte esso si trovi: a Nord, Sud, Est od Ovest non fa differenza né crea loro difficoltà, ma solo quello cercano e solo verso quello più facilmente raggiungibile si dirigono. (Intelligenza percettivo-orientativa?Chissà!). Il muschio, come una spugna, assorbe, durante la pioggia, quantità d'acqua enormi per restituirle al terreno durante la siccità ed è quell'umidità pressoché costante che serve a mantenerlo in vita nel sottobosco. Così pure i cactus immagazzinano acqua per la propria sopravvivenza e trasformano le foglie in spine per ridurre la superficie di evaporazione nelle zone di prevalente aridità. Per contro, le conifere le trasformano in aghi per aumentare l'eliminazione dell'acqua in eccesso nelle zone di frequenti precipitazioni (Intelligenza percettivo-conservativa?Probabile.)

V'è quindi anche nei vegetali, non solo negli animali, una percezione dell'ambiente circostante, il suo riconoscimento e l'attuazione di una strategia ad hoc per raggiungere l'obiettivo.

Lo stesso principio di adattamento all'ambiente, chiaramente espresso nell'evoluzionismo darwiniano, non reggerebbe se non ancorato a forme primitive di "Intelligenza" che ne sarebbero all'origine e lo guiderebbero. L'ostacolo ambientale così inteso, una volta riconosciuto, diventa stimolo attivo alla ricerca della soluzione per il suo superamento. (Percezione dell'esistenza di un problema, suo riconoscimento, pianificazione di una strategia di soluzione, verifica e correzione attraverso prove ed errori, revisione della strategia, verifica finale del suo successo e sua applicazione definitiva e quindi adattamento; In altre parole la natura applica lo stesso metodo scientifico inventato dall'uomo "o non piuttosto è l'uomo ad averlo copiato dalla natura ?" )

Quello che distingue l'uomo da tutto il resto non è dovuto alle differenze qualitative e quantitative di intelligenza, ma dalla possibilità di coscientizzare tale facoltà e di porsi di fronte ad essa analiticamente oggettivandola. Processo intellettivo che per questo nell'uomo viene definito razionale, e che invece nell'animale viene riconosciuto come istintuale e nel vegetale come biologico».

Indice
bottom of page