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Era meglio quando si stava peggio ?

II

Per qualsiasi gambero slalomeggiare fra i sassi, scappare alle trote, alle libellule e a tutti quelli di cui costituiva una prelibatezza era preoccupazione di ogni giorno, ma una preoccupazione del tutto normale, diciamo biologica da quando "Colui che muove il sole e l'altre stelle" escogitò la legge dell'alimentazione per garantire a tutti il medesimo diritto alla vita e l'equilibrio delle specie sulla terra.

Mors tua vita mea non è la tragedia che tutti pensano, vista così è una inequivocabile garanzia di vita, ma ...

Che mai poteva essere quel "ma" venuto a rompere l'equilibrio dell'Universo?

Tutti sono d'accordo nel deprecare l'inquinamento globalmente inteso e tutti sono altrettanto d'accordo che vi si debba porre rimedio, come pure che la colpa sia dell'uomo e del suo sviluppo economico, del progresso cui pare non si possa rinunciare, perché, dicono, solo il progresso può sfamare chi muore di fame, dimenticando che si muore anche di indigestione e avvelenati dall'immondizia del superfluo che si preferisce far marcire in discarica, anziché distribuire a chi non ne ha, pur di mantenere alta la richiesta e il conseguente prezzo di mercato. Per non parlare delle inutili cianfrusaglie più o meno griffate imposte dalla moda e dalla filosofia dell'innova più in fretta, usa poco e getta tutto. Ci si accusa l'un l'altro puntando il dito sul vicino di casa, perché la colpa è sempre dell'altro.

E poi è vizio comune il blaterarci sopra fino alla nausea, allargare le braccia affermando che il progresso non si può fermare e ridurre il tutto in chiacchiere da salotto che si spengono sonnolente con l'apparire del monoscopio di fine programma.

Questo discorso ci porterebbe troppo lontano e poi è un discorso che pare interessi solo l'animale uomo e il suo specifico areale artificioso e denaturalizzato, le sue nemesi storiche e le sue filosofie apollineo-dionisiache, non il gambero, al quale serve solo un ruscello vispo, dalle acque pulitissime e ben ossigenate per sopperire a tutti i suoi bisogni di creatura vivente.

L'interrogativo se fosse meglio quando si stava peggio non riguardava solamente lo charpentier che aveva scolpito Pastrocchio e coloro che se n'erano trastullati passandoselo di mano fino ad abbandonarlo ai bordi di una discarica, perché giocattolo ormai superato. Il trait d'union che legava il gambero con l'uomo, ultimo ramoscello al vertice dell'albero alimentare era il bordo di quella discarica nella quale il nostro burattino era finito ancora in buono stato, ma reo d'essere obsoleto e da dove era riuscito ad andarsene con le proprie gambe, senza appellarsi a nessuno, senza chiedere aiuto a chicchessia, fermandosi solo ai margini di quel Laveggio in cui immergere i piedi sozzi e stanchi; fino all'acqua di quel ruscello che, caparbiamente, ospitava ancora i lontani discendenti degli astici marini.

Non soffriva di nostalgia per le case in cui era stato, per i bimbi che ci avevano giocato, perché era stato l'uomo a buttarlo in quella discarica fra il marciume e la puzza, con i gabbiani che lo usavano come posatoio e ci facevano sopra pure la cacca.

Stava sicuramente meglio quand'era parte del tronco di un bel faggio vivo e solenne sulle pendici del monte.

Il signor gambero aveva due problemi quotidiani da risolvere: quello del procurarsi il cibo e quello di evitare d'essere cibo.

Il secondo era un problema tutto suo che riguardava le sue capacità mimetiche, di fuga e la sua determinazione nel difendersi, ma il primo non dipendeva dalla sola aggressività. Che poteva farci lui contro i liquami delle fognature, il percolato dei letamai che disossigenavano l'acqua, i diserbanti, i pesticidi e perfino gli insetticidi che uccidevano le larve e gli insetti della sua dispensa ?

Ci mancava anche che quel pezzo di legno malamente sgorbiato andasse a lavare il lerciume dei piedi proprio in casa sua !

Non gli sembrava che questo stesse scritto nel contratto d'affitto firmato alle origini e sottoscritto anche dal Padrone di casa.

Ma ... ne era proprio sicuro ?

Ricordava qualcosa che gli era giunto attraverso la tradizione orale arrivata a lui col passa parola fin dai tempi del diluvio.

«Sia benedetto Noè per tutta l'eternità per aver ospitato nell'arca anche una coppia di astici - pensò - altrimenti tutto il sapere che precedette la catastrofe sarebbe finito a puttana » Poi si corresse rammentando che in qualità di gambero non aveva avuto bisogno d'essere salvato dalle acque, e se il diluvio avesse affogato Noè i suoi problemi d'oggi non esisterebbero.

Ricordava vagamente i vecchi quando raccontavano che fu nel quinto e nel sesto giorno che il Padron di casa aveva dato in affitto il pianeta, ma le modalità del sesto erano alquanto ambigue.

Cosa intendeva il Padrone col dire: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza ... maschio e femmina ... e disse loro ... riempite la terra; soggiogatela e dominate ecc.» Il gambero non ricordava che avesse concluso «Fino a distruggerla».

Sbollita un po' la rabbia, ragionandoci sopra a quel "dominate" capì che i piedi a bagno del burattino non costituivano un reato, perché non gli toglievano la sovranità su quel tratto di fiume e nemmeno avrebbero saccheggiato la sua mensa. Per il burattino costituivano un diritto d'uso non diverso dal suo, non un'invasione di campo. Restava da chiarire fino a che punto la sporcizia di quei piedi inquinasse la sua acqua e quindi rappresentasse una chiara minaccia alla sua esistenza e a quella delle sue larve.

Era proprio necessario che il Padron di casa fabbricasse anche l'uomo e proprio a sua somiglianza col mandato di dominare ?

Forse lo aveva concepito come custode e guardiano dell'Eden, a fare da giardiniere insomma, per la manutenzione di quel popò di giardino che non era certo lavoro da poco. Come mai gli era riuscito così male ? Dove aveva sbagliato ? Ma aveva poi sbagliato ?

Ma !

Il sole intanto continuava per la sua strada infischiandosene delle beghe altrui, soddisfatto di non incorrere in sanzioni per non aver fatto il suo dovere di lampada, di scaldino a rocce e animali e di alchimista della vita come stava scritto nel contratto collettivo di lavoro astrale.

Con lo scorrere del tempo l'ombra del burattino si era andata allungando e finì per fare da parasole proprio alla famiglia del gambero che, ormai certo dell'innocuità dell'intruso, pensò di rivolgersi a lui per qualche chiarimento in proposito, visto che, da pezzo di legno qual era, godeva di privilegi a lui vietati, come quello di vivere all'aria aperta a contatto con tutte le creature di superficie, di non doversi preoccupare degli alberi suoi simili che lo consideravano ormai defunto, d'infischiarsene degli uccelli che non lo reputavano degno né di ospitare un nido né tanto meno appetibile al palato, di non dover temere l'uomo più di tanto perché era stato fabbricato da lui e perché, per quanto brutto, mal tagliato, sporco e scorticato, viste le tendenze estetiche, non doveva neanche temere il fuoco, potendo essere scambiato, rifiuto a parte, sia per opera d'arte contemporanea che di antiquariato.

Fattosi coraggio il gambero si avvicinò guardingo ai piedi del burattino senza mai perderlo d'occhio. Dopo essergli girato attorno provò l'assaggio pizzicandogli un alluce e allontanandosi di scatto. Nessuna reazione. Si riavvicinò e ripeté la provocazione. Pastrocchio strinse fra i denti il fuscello di nocciolo e, usandolo come fosse un cavo telefonico gli chiese: «Che vuoi ?»

«Amico, perché mi sporchi l'acqua ?»

« Scusa, non pensavo di farti del male rinfrescandomi i piedi»

«Lo immagino. Voi di lassù fate le cose con estrema superficialità. Prima le combinate e poi, se vi aggrada, vi scusate, non per niente siete "esseri di superficie". Dovresti sapere che sono delicato e basta un nonnulla che alteri il mio habitat per farmi scomparire ».

«Sei ingiusto a coinvolgermi in questa brutta faccenda - rispose Pastrocchio - Non sono il solo ad esistere fuori dall'acqua e tutti quanti soffriamo degli stessi guai di cui tu ti lamenti ».

«Io so solo - proseguì il gambero - che i fiumi puliti in cui alcuni di noi riescono a sopravvivere, e siamo rimasti in pochi, sono sempre meno, spiegami allora perché l'inquinamento viene dal tuo mondo ».

«Non dovrei parlar male di chi mi ha fatto, ma la colpa è tutta e solo dell'uomo».

«Ma l'uomo lo sa ?»

«Certo che lo sa ed è quasi un secolo che ne parla, vent'anni che ne discute, firma protocolli, grida allo scandalo e si straccia i capelli, ma al ritorno dal simposio le scartoffie finiscono nei cassetti e l'uomo se ne dimentica, perché fa comodo così: ha imparato ad archiviare le carte, trapiantare il cuore e mettere il cervello in banca».

Dopo una pausa di riflessione il gambero, memore di essere anche lui alquanto intransigente a proposito di territorio, proseguì accomodante: «Può darsi che si creda immune o almeno di poter controllare il fenomeno e sapersi difendere»

«Niente di tutto questo, amico mio - precisò il burattino - o meglio non solo questo. Il fatto è che l'uomo non ammette di essere un prodotto della Terra; nella sua presunzione di possederla si sente autorizzato a farne ciò che gli pare e piace. Non si rende conto di darsi la zappa sui piedi. È individualista, per niente solidale, perciò egoista e quindi possessivo. Prova solo a riflettere sul suo concetto giuridico di proprietà: ci trovi qualcosa che riguardi altri esseri viventi all'infuori di lui come soggetto singolo e come collettività ?»

«Mi pare proprio di no. - disse il gambero - Non so lui, ma io non faccio niente contro una trota che mi minaccia. Evito solo che mi mangi ».

«Appunto - disse Pastrocchio - l'uomo invece no, sventolando la bandiera del "meglio prevenire che curare" ti fa fuori tutto ciò che lo minaccia o che lo intralcia senza alcuno scrupolo e sarebbe già molto se si limitasse a questo. Invece no, usa l'intelligenza per trasformare anche l'ambiente, perché se ne crede padrone: "il padrone" ».

«Quindi si ritiene libero di usare veleni, di trasformare territorio e materie prime a suo insindacabile piacimento, se ne infischia se i suoi prodotti e le scorie residue non siano biodegradabili, tanto fiumi, mari. suolo e sottosuolo, secondo lui, sono in grado di digerire tutto; l'importante è soddisfare i suoi presunti bisogni immediati. Domani è un altro giorno e chi vivrà si arrangerà. È questo che intendi dire ? - concluse il gambero».

«Proprio così» ribadì Pastrocchio.

«Se è come tu dici devo arguire che la sua stupidità sia direttamente correlata alla sua intelligenza» concluse il crostaceo salutando perplesso, e indietreggiò con un gran colpo di reni trascinando al sicuro le sue larve.

Un grosso abete svettante poco distante, orgoglioso di porgere riparo ai passerotti abbracciandoli con la sua folta chioma, ascoltava con interesse la conversazione perché, giorni addietro, era passato di lì uno strano bipede insaccato in una uniforme grigia sotto un berretto con tanto di stemma sopra la visiera; un tipo sospetto che, dopo essergli girato attorno, lo aveva marchiato con della vernice rossa.

Sul momento l'albero aveva pensato che si trattasse di uno dei soliti teppisti imbrattatori di muri, ma quella X sulla corteccia non aveva nulla di artistico, nemmeno la velleità. Ascoltando la conversazione dei nostri protagonisti, si insospettì e quell'episodio che aveva sepolto sotto una scrollatina di rami tornò ad allarmarlo.

Cosa mai significava quella X così sinistra nel suo colore vermiglio ?

Intercettando il pensiero dell'albero <<Sangue ! >> bofonchiò il barbagianni annidato nel pilone del ponte di fronte. L'abete frusciò una parolaccia all'indirizzo dello iettatore, ma colto dalla paura cominciò a tremare. Chiese a Pastrocchio: «Secondo te che significa?» Il burattino, forte di un'esperienza consimile, gli rispose: «Quel tizio era un forestale venuto a sentenziare la tua condanna a morte ».

«Ma come ! - Ribattè l'abete - sono ancora giovane, sano, rigoglioso e forte, non ho parassiti, nessuna malattia, perché abbattermi ?» «Anch'io lo ero e mi opponevo, ma l'uomo della motosega non mi degnò neppure di un requiem - commentò Pastrocchio - ti abbatteranno amico, perché servi all'industria dell'uomo, per fare travi, assi, palette da carico, truciolato per mobili o pellet per stufe da riascaldamento».

«Perché non usano piante malate, morte o scarti vegetali per fare questo ? Perché abbattere me che sono sano ? »

«Forse semplicemente per diradare il bosco e far penetrare più luce oppure e più probabilmente perché come merce hai un certo valore. Niente più di questo determina le sue decisioni. L'uomo accampa sempre delle buone ragioni per giustificare ogni sua azione».

«Buone secondo lui !» interferì il gambero.

Tale conversazione mise in subbuglio l'intera colonia di volatili rifugiati fra i rami dell'abete. La notizia passata di becco in becco si gonfiò a dismisura. Corse cinguettio che sarebbero stati sfrattati dal condominio senza neppure un'ora di preavviso. Dopo un accalorato battibecco nel quale ognuno pretendeva di far prevalere la propria opinione, alzando la voce per sopraffare quella altrui, riuscirono a mala pena ad accordarsi sull'urgenza di convocare un'assemblea generale di tutti i pennuti della colonia. Diedero quindi l'incarico organizzativo al corvo imperiale, unanimemente riconosciuto come il più intelligente fra gli uccelli, oltreché prudente, riservato e schivo. All'alba del dì seguente una delegazione guidata da un piccione viaggiatore partì per le Alpi Retiche con la nomina da recare al capo stormo dei corvi e l'invito a scendere a valle per convocare e presiedere il Lipusenato.

Il Corvo Imperiale, democraticamente eletto dall'assemblea popolare, si presentò all'Aquila Reale, presidentessa della C.T.V.D., la Confederazione Terrestre dei Volatili Diurni per prestare giuramento di obiettività e d'imparzialità secondo i dettami della suprema "Costituzione della legge di Natura". Prima che il corvo posasse la mano sul libro sacro, l'aquila credette opportuno dargli qualche consiglio perché la faccenda dell'abete non riguardava soltanto la C.T.V.D. ma tutte le Repubbliche di genere e di specie diversa che popolavano il bosco, dalla federazione dei Rapaci notturni a quella dei Predatori diurni e notturni, compreso il mondo dei vegetali, per non parlare dell'impatto sul clima, sulla distribuzione delle acque sulla produzione di ossigeno, azoto, anidride carbonica, l'universo dei funghi e dei batteri, la desertificazione e il rischio che una politica sbagliata facesse scomparire la vita sulla Terra.

Dopo avere reso attento il corvo sulle drammatiche complicazioni conseguenti ad un giudizio sbagliato, anche se pronunziato in buona fede, l'Aquila gli chiese brutalmente. «Sei ancora del parere di accettare questo incarico ?»

Riflettuto su quanto udito, il corvo tese la mano verso il libro, ma l'aquila glielo impedì ancora: « Aspetta, prima di giurare compila il questionario di assunzione di responsabilità. Leggi attentamente ogni domanda e metti una croce sul sì oppure sul no e poi firma per esteso in maniera leggibile, dopo di che potrai assumere il mandato che io controfirmerò».

Protocollo d'ingaggio arbitrale

Principio generale

La Terra è patrimonio comune di tutti gli esseri che si trovano su di essa. Ogni essere è libero di usarne solo nei limiti del bisogno essenziale e nel rispetto dei bisogni essenziali altrui. L'esistenza del pianeta nel tempo dipende dalla rigorosa osservanza di questo principio che ne regola l'equilibrio perpetuo.

Impegni

1° - Sei consapevole che bene e male sono categorie soggettive inventate dall'uomo? sì…/no…

2° - Sei consapevole che nell'Universo niente è giusto e niente è sbagliato? si…/no…

3°- Che esiste una sola legge universale ? si…/no…

4° - Che l'alterarla rompe l'equilibrio dell'Universo? si…/no…

5° - Che la vita è uno degli infiniti modi di manifestarsi di tale legge ? si…/no…

6°-Che nessuno deve o può sottrarsi al proprio ruolo?si…/no…

7° - Che al massimo si può avere coscienza di sé, di quello con cui ci si relaziona, ma mai del tutto ? si…/no…

8° -Che la conoscenza è circoscritta entro i limiti fisiologici dei sensi e dei processi intellettivi ? si…/no…

9° - Che i sensi interpretano, non fotografano la realtà con cui ci si relaziona ? si…/no…

10° - Che il tuo giudizio sarà subordinato al principio di sopravvivenza, non di utilità né di profitto ? si…/no…

Il corvo impettito lasciò profonda l'impronta della sua zampa destra sulla rena a garanzia dell'impegno.

«Ora va - gli disse l'aquila - ma guardati dagli arruffapopoli, scatenano solo rivoluzioni che lasciano il tempo che trovano».

Indice
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