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Ottobre 2016

Impressioni su: LE DONNE DI NISO di Mirella Filomena Iannaccone

In ogni romanzo c'è sempre un che di autobiografico, non ci si stupisca allora se identifico a priori la protagonista con l'autrice.

La Iannaccone, a mio parere, è una scrittrice ancora in embrione. A buoni spunti interpretativi dell'universo femminile alterna descrizioni banalizzanti di quello maschile, il che denota delle conoscenze psicologiche di base del tutto empiriche. Ricca nel descrivere i propri sentimenti, scadente nel delineare gli aspetti psicopatologici della figlia, interpretativa e proiettiva nel tratteggiare la personalità di Andrea, superficiale per la psicodinamica che sottende il comportamento di Domenico. Affida a luoghi comuni la descrizione delle comunità sia di Niso Che di Eurialo.

Che cosa me lo fa credere?

Cominciamo dal titolo: Le Donne di Niso, che, di primo acchito, fa pensare che Niso sia un uomo. Infatti Eurialo e Niso sono due mitici eroi omerici e virgiliani, noti per l'indissolubilità della loro amicizia e invece, nel romanzo, si scoprono essere nomi fittizi di due borghi !!!!

In tutto il romanzo non c'è nulla che leghi anche vagamente con la leggenda di Eurialo e Niso.

La vicenda è di umana quotidianità che per non diventare banale necessita di un non comune acume psicologico, di una vasta conoscenza linguistica e di un'abilità tecnica narrativa che la scrittrice è lungi dal possedere [ vedi la descrizione dell'alimentazione della tartarughina del tutto pleonastica (pag 9) - l'improvviso passare dall'imperfetto al presente indicativo senza un giustificato motivo (pag. 13) - il perdersi in particolari inutili (le cataratte a pag. 20 o i gradini a pag. 21)] o addirittura una povertà semantica mell'uso dei vocaboli (seno prospiciente anziché prosperoso come se ci fossero donne con seni retrostanti a pag.23).

In sole ventitre pagine c'è già un condensato di cose che non vanno: troppe per passare come sviste. Infatti il romanzo continua alternando spunti lirici a banalità improvvise e stridenti.

La Iannaccone, insistendo e sudando, potrà diventare una scrittrice, ma in quanto ad esserlo lascia ancora a desiderare.

Come sempre il mio è un vissuto personale, non un giudizio critico.

Impressioni su: AMORE IN POESIA di Michele Paterno

Il mio parere puramente tecnico non interferisce con la presentazione che Lattarulo ne fa sul risvolto di copertina, semmai la completa con un'analisi strutturale dell'impianto poetico.

Descrivere l' «Amor cortese .. pudico ..sacro o profano» fa parte della libera scelta di ogni autore, del suo porsi nella realtà dei tempi, della sua storia personale, del suo credo, filosofia o concezione della vita, ma il modo non è più un problema solo dell'autore che è contemporaneamente sia "individuo" che "persona" direbbe Vito Mancuso, e che come persona non può esimersi dal portare la maschera che il ruolo gl'impone.

"Amore in poesia" è il titolo dell'opera, quindi Paterno assume il ruolo del poeta. Ma il poeta, in quanto tale, indossa un abito dal quale non può prescindere.

Prosa e poesia non si possono confondere, non per i contenuti ma per la forma.

In "Amore in poesia" la rima, forzatamente cercata, ha difficoltà ad integrarsi col verso(?) destrutturato di ogni metrica, vi stride cacofonicamente con reiterate assonanze: sembra manifestare un'ontologica incapacità ad esprimere sinteticamente i contenuti.

La dicotomia tra contenuti e forma nella composizione è tale da collocare il lavoro a metà strada tra la prosa, della quale manca del rigore sintattico-grammaticale, e la poesia di cui non possiede la minima struttura né metrica né musicale e quindi ha il sapore di una misticanza spuria o di un manufatto eseguito con uno strumento inadeguato. Resta il contenuto, ma da solo non basta.

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