Tra l'Io e Dio il vuoto è mio - Luglio 2015
LUGLIO 2015
Ad ogni uomo è data la facoltà di pensare, in maniera più o meno efficiente, ma su ciò non c'è dubbio.
Forse anche altri esseri viventi sono compartecipi di tale facoltà, in misura diversa e a noi sconosciuta, ma non escludibile a priori. A suffragare tale ipotesi basta il comportamento di certi animali molto prossimi a noi o condividenti la nostra stessa quotidianità per far nascere in noi qualche dubbio.
Il fatto di non aver nulla a che spartire con filosofi e teologi non mi esime dal pormi certi problemi, né il fatto che loro se ne occupino professionalmernte dà loro il diritto di monopolio, per cui seppure a rischio di dire castronerie, mi ritengo libero di esprimere quel che io penso, sento e credo.
Il libero arbitrio è facoltà volitiva, cosciente, incondizionata; è una manifestazione esclusivamente razionale. è scelta che mira al raggiungimento di un fine. È scommessa sul futuro.
Fra le illusioni dell'uomo c'è il libero arbitrio.
La più grande delusione dell'uomo è ancora il libero arbitrio.
La principale aspirazione dell'uomo resta sempre il libero arbitrio.
Ma questo libero arbitrio, inteso come espressione assoluta della possibilità di ogni singolo uomo di operare una scelta autonoma che consenta il raggiungimento di obiettivi da lui desiderati e voluti, non esiste.
Ne esiste semmai un'immagine speculare, risultato di processi di causa ad effetto memorizzati, assunti come modelli e parametri di valutazione di situazioni consimili.
La conoscenza delle conseguenze determinate da una data causa è l'esperienza. Nel ripetersi delle circostanze l'uomo si affida a questa conoscenza pregressa per operare la sua scelta, ma tale scelta è condizionata dalle dinamiche di causa ad effetto che non dipendono dalla sua volontà.
Qui inizia e finisce il suo libero arbitrio nell'agire quotidiano.
Giacché questa forma di falsa libertà è sotto gli occhi anche dei più sprovveduti, quando si parla di libero arbitrio ci si riferisce esclusivamente all'indagine filosofico-teologica, perché costì il libero arbitrio ha come fine la salvezza o la dannazione eterna.
I postulati quindi sono; che esista un aldilà, che esista un giudizio, che esistano un premio e una punizione. Postulati ipotizzati ma non verificabili dalla scienza e dalla conoscenza umana, quindi del tutto ipotetici.
Altra stampella del libero arbitrio è il concetto di bene e di male come fattore discriminante per un giudizio. Ma noi siamo sicuri d'avere esperienza di ciò che sia bene e quel che sia male in assoluto? No di certo, perché quel che è bene per Caio può essere male per Sempronio. La scelta di quel che oggi credo sia bene per me, solo domani mi confermerà o smentirà le previsioni, perché sono infinite le variabili a me ignote che nel frattempo interverranno a modificare i risultati. Nel dubbio ognuno sceglie quel che nel presente gli sembra utile, secondo l'esperienza di piacere o di dolore o di scopo da raggiungere, che la stessa situazione ha dato come esito in passato, ma il presente può sembrare simile, ma mai uguale al passato e nel fituro diventa una scommessa. Pertanto le previsioni saranno sempre approssimative e i risultati diversi da quelli auspicati. Il presunto libero arbitrio si muove in una palude di sabbie mobili già nell'immanente in cui i postulati sono abbastanza concreti, figuriamoci quando si pretende di applicarlo al trascendente.
Che conoscenza ha l'uomo della vita e della morte? Solo i suoi meccanismi biologici, le sue dinamiche fisiologiche, ma l'essenza della vita, le sue finalità ultime, le sue origini primigenie gli sono ignote. Ne conosce solo i suoi confini terreni: dal concepimento al didisfacimento somatico. Non si sa cosa ci fosse prima né che ci sarà dopo la parentesi biologica.
Come è possibile operare una libera scelta quando si ignorano tanto le premesse che le conseguenze?
Ecco allora nascere come risposta ansiolitica il discorso etico-religioso, ma è un discorso fondato su pure ipotesi.
Evoluzionismo? Va bene, ma da cosa se nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma? Qualcosa in origine deve pur esserci perché da cosa nasca cosa, foss'anche una sola particella di energia che per altro essa stessa è l'antitesi del nulla.
Creazionismo? Che esperienza diretta abbiamo di Dio, del prima e del dopo se non quel che immaginiamo possa essere attraverso quel che percepiamo? E non percepiamo nulla di ciò che non sia umano.
Sono cristiano, battezzato, cresimato e parzialmente praticante come tutti, chi più, chi meno, Papa compreso.
Credo nell'esistenza di un'entità chiamata Dio, ma ci credo per assurdo, nell'accezione matematica del termine: escludendo tutto quello che può non esserlo, e con questo Dio ci litigo quotidianamente perché è solo fonte di dubbi e d'insicurezza, perché mi parla col cervello e col linguaggio dei miei simili, perché usa solo la loro voce e non la sua.
Non sento i miei simili diversi da me, qualunque ruolo rivestano nella comunità. Rilevo in loro la sete di dominio, l'arrogarsi arbitrariamente il privilegio della conoscenza e il diritto d'imporsi e d'imporla agli altri, lo sforzo di omologare gli altri al servizio del loro arbitrio, perché l'essere arbitri consente autonomia di giudizio e quindi una certa qual libertà.
L'essere liberi d'imporre non è forse sentirsi simili a Dio: essere Dio?
Libero arbitrio è fonte di potere, è sinonimo di potere e chi è potere libero e assoluto se non Dio stesso? Ma un Dio così diventa stampella di potere.
I sacerdoti ti scodellano assiomi metalogici coi quali ti chiedono (quando non impongono) di credere per fede e su questi dipanano i loro sillogismi, ma la fede è accettazione incondizionata e passiva, antitesi della comprensione e della logica.
La religione afferma, non spiega e quel che pretende di spiegare (il teorema) altro non è che razionale (sillogismo) applicato all'irrazionale (il postulato).
La regola vale per tutte le religioni e per tutti i loro guru.
Ma chi ci garantisce che questi assiomi siano veri? Se cade l'assioma cade il teorema.
Le religioni insegnano tutte la stessa cosa: lasciare il certo per l'incerto.
Allora perché non mi professo ateo? Perché senza un principio creatore chiamato Dio non so spiegarmi nulla di questo esistere.
Perché mi professo cristiano pur pensando che i racconti dei preti siano favole?
Perché se vissuta e praticata seriamente la dottrina cristiana mi pare la migliore filosofia di vita e di coesistenza pacifica con se stessi, con gli altri e con l'intero Universo. forse perché la meno egoistica nel predicare contro ogni forma di "vanità", forse per il suo contrario: perché tanto egoista da renderci disposti a tutto per salvare la nostra anima. Probabilmente per inerzia, perché ci sono nato, cresciuto, educato e non conosco a fondo le altre religioni.
A Messa ci vado in quasi tutte le feste comandate, mi comunico anche, perché credo in un Dio un po' panteistico come "Essere Vita"
presente in tutto, connaturato in tutto e "transustanziazione" mi sembra parola che tenta di spiegare questo concetto di presenza,di metamorfosi nel divenire universale di Dio nel tutto.
Ma qui nasce il dubbio blasfemo: nell'Eucarestia è Dio che entra in me come sostengono i preti e altruisticamente mi vivifica o sono io che, assimilando l'Ostia sacramentale, proditoriamente m'impossesso di Lui per diventare egoisticamente simile a lui se non propio Lui?
Ma Dio come principio di vita non è già in me come nel grano e nella vite che crescono attorno a me?
Il confine è molto labile, sepolto nell'intimo del sé.
Diserto la mia parrocchia perché il parroco pieno di sé sa solo essere arrogante ed insolente quasi dovesse guidare un gregge di capre e abitualmente ne frequento un'altra, il cui sacerdote sa mettersi allo stesso livello dei fedeli, che come me ammette di sguazzare in una palude di dubbi e così mi pare amico, fratello, compagno di strada che trasuda calore umano.
Quando invece il celebrante della Collegiata che frequento saltuariamente sale l'ambone per leggere il Vangelo del giorno e sciorinare la sua omelia, mi coglie un senso di fastidio, non per il contenuto che è poi quello di tutti i nostri sacerdoti, ma per la voce irritante, monocorde, metallica che pare uscire da un sintetizzatore o dall'amplificatore di un tracheotomizzato. Monotona come le lamentazioni delle prefiche e le litanie funebri; inespressiva e ripetitiva come quella di un registratore che ripete all'infinito solo quello che all'origine vi fu inciso. Non un dubbio, un tentennamento un momento di disorientamento che lo renda umano anziché un robot. Deprimente in toto.
Non mi piace un Cristianesimo filosofia della depressione, eppure questa è la sensazione che lì io provo.
La curiosità nasce da stimoli positivi di aspettativa non certo soporiferi e scostanti.
Allora perché frequento quella Chiesa? Sarà perché mi attrae il profumo dell'incenso? La teatralità piuttosto che la misticità del rito? Chissà !
Forse perché l'inconscio vuole ch'io vada a comunicare intimamente con Dio, e lì vado dopo aver perso l'ultima Messa della parrocchia abituale e ci vado per non interrompere quel cordone ombelicale col Padreterno che mia madre ebbe cura di coltivare in me, perché il non farlo mi metterebbe a disagio insinuandomi sensi di colpa e alimentando paure inconsce.
Mi piace il fresco silenzio della Collegiata quando è vuota perché sa di antico e invita alla riflessione, a quel monologo senza risposte che chiamano impropriamente colloquio con la voce afona di Dio. Quando è piena no, perché una stridente voce matallica mi apostrofa: << E Gesù disse ... >>
Già: Gesù disse, non Gesù scrisse, perché di suo pugno non scrisse nulla da sbattere in faccia ai miei dubbi e non viene di persona a confermarmi che quel che mi propinano è proprio la sua parola.
A informarmi sulle verità dette da Gesù sono solo uomini cui queste verità sono state trasmese da altri uomini nei duemila anni che ci separano da Lui.
Tutti sappiamo quanto la tradizione orale del passaparola sia inaffidabile; quanto di originario si perda e quanto di nuovo e spurio vi si aggiunga involontariamente, anche nella trasmissione scritta allorché viene copiata e ricopiata e ancor peggio se tradotta da altra lingua e interpretata. Un esempio per tutti lo troviamo nel penultimo verso del Padre Nostro. La Chiesa ufficiale insiste con la versione: << ... E non ci indurre in tentazione>> anziché: << E non abbandonarci nella tentazione>> Quasi che fosse lo stesso Padreterno a spingerci a peccare.
La buona fede di chi oggi mi parla dall'ambone giustifica ma non convalida il racconto.
Per aver fede la personalità del pretete conta, eccome se conta !
Missionario, professionista o mestierante il prete non può avere qualità superiori né difetti peggiori dei miei, ma è pur sempre l'uomo che, raccontandomi la favola, mi ricorda che se esisto con le caratteristiche che mi distinguono dagli altri e mi fanno essere unico e irripetibile, non può essere per volontà umana, e lo ascolto compiacente come quando, bambino, ascoltavo le fiabe di papà.
La storia del Cristianesimo, come di qualsiasi altra religione è piena di contraddizioni, di affermazioni e di smentite, di crudeltà commesse nel nome di Dio, nella incongruenza concettual-comportamentale di un Dio buono e misericordioso e di un Dio intransigente e vendicativo, ma non può essere altrimenti perché le religioni sono storie di uomini, storie vissute, scritte e tramandate da uomini che, come i gamberi di torrente, pur vivendo in acqua limpida e sana, non sono esenti da ripensamenti e, procedendo ora avanti ora indietro, si giustificano col fatto che il loro sostentamento si nasconde nel limo del fondo.
LE RELIGIONI
Fra tutti gli esseri viventi l'idea di divinità la troviamo solo nell'uomo che la manifesta inventandosi le religioni.
Le religioni sono la risposta analogica agli interrogativi umani privi di una risposta concreta.
Nelle religioni animiste ogni cosa trova in un dio la sua controfigura virtuale; nelle religioni politeiste sono le forze della natura e gli esseri viventi ad avere le loro controfigure virtuali negli dei; in quelle monoteiste Dio diventa un'entità astratta esterna all'universo che ne sarebbe un'emanazione e quindi qualcosa di creato. In tutte le religioni la divinità si distingue dall'immagine concreta ispiratrice per i suoi poteri soprannaturali.
C'è poi chi crede in un Dio immanente, contenuto nell'Universo, che opera in esso, con esso, ma in qualche modo sempre distinto da esso.
La scienza pare ci stia portando verso qualcosa di nuovo, verso l'idea che Dio sia l'Universo che opera attraverso le interazioni delle sue leggi fisiche: un Dio né trascendente, né immanente, ma che si identifica con l'Universo stesso. E allora cosa ci aspetta? Una religione fisicistica?Basterà a rispondere ad ogni nostro interrogativo o ne succederà un'altra?
GLI IDEALI e L'EROISMO
Gli ideali sono categorie astratte presenti solo nell'uomo, sono guide o motivazioni a giustificazione del proprio comportamento.
Poiché la vita non è eterna e che quindi morire si deve,( non bisogna!) l'anticiparla per qualsiasi motivo è stupido oltreché assurdo.
Non esiste ideale per il quale sia giustificato uccidere come non esiste ideale per il quale valga la pena di morire.
Ne consegue che l'eroismo è un'invenzione narcisistico-trionfalistica perché non ci sono morti buone e cattive, eroiche o vigliacche, esistono morti e basta: giuste solo se naturali.
LA CASA DELL'IO VIOLATO
Internet è la casa dalle pareti di vetro dove non esiste privacy di sorta, dove l'intimità, la riservatezza, il pudore o il più piccolo segreto non trovano spazio in cui nascondersi e sopravvivere al riparo dalla curiosità e dall'invadenza altrui. Anche il pensiero, la parte più protetta del tuo Io non deve cercarvi cassaforte, a meno che tu non voglia che sia violato, ma allora tanto vale.
Che differenza c'è tra il vivere in Internet piuttosto che in una baraccopoli suburbana, dove la vita si svolge alla luce del sole, al soffio del vento, senza pareti che ti nascondano agli occhi, se non di tutti, almeno di quelli che non vorresti ficcassero il naso nella tua intimità, nei tuoi sentimenti, nei tuoi pensieri, con la pretesa d'interpretare e giudicare perfino le motivazioni e le intenzioni del tuo credere e del tuo agire?
Tuttavia sembra questa la casa del futuro, la strada della civiltà postindustriale che abbiamo imboccato. Regressione mascherata di progresso?
MIGRAZIONE E CIVILTÀ POSTINDUSTRIALE
La migrazione polietnica di massa cui stiamo tragicamente assistendo porterà il Vecchio Continente ad evolversi ripercorrendo la strada del Brasile descritta da Darcy Ribeiro?
Nel definire l'identità multietnica brasiliana pare si sia espresso così: «La più terribile delle nostre eredità consiste nel portare sempre con noi la cicatrice di torturatori impressa nella nostra anima e pronta a esplodere in brutalità razzista e fascista. È essa che brucia, ancora oggi, in tante autorità brasiliane predisposte a torturare, seviziare, schiacciare i poveri che le capitano in mano. Essa, tuttavia, provocando una crescente indignazione, ci darà la forza, domani, per creare qui una società solidale».
(il virgolettato è tratto da Mappa Mundi di Domenico Masi pag.790).
Brasile di ieri nel pieno sviluppo della civiltà industriale. I tempi sono cambiati, ma le migrazioni d'interi popoli no e agli albori di questa civiltà postindustriale il fenomeno si ripete. Quale strada sceglieremo? Dell'emarginazione razzista o dell'integrazione solidale?